Generazioni a confronto
Riccardo Staglianò
(Viareggio, 1968) è giornalista de la Repubblica. Ha iniziato la sua carriera come corrispondente da New York per il mensile Reset, ha poi lavorato al Corriere della Sera e oggi scrive inchieste e reportage per «il Venerdì». Per dieci anni ha insegnato Nuovi Media alla Terza università di Roma. Nel 2001 ha vinto il Premio Ischia di Giornalismo, sezione giovani. È autore di vari libri sull’impatto di internet sulla società, da Bill Gates. Una biografia non autorizzata (Feltrinelli, 2000) a Cattive azioni. Come analisti e banche d’affari hanno creato e fatto sparire il tesoro della new economy (Editori Riuniti, 2002). Gli ultimi titoli pubblicati con Chiarelettere sono Grazie. Ecco perché senza immigrati saremmo perduti (2010), Toglietevelo dalla testa. Cellulari, tumori e tutto quello che le lobby non dicono (2012) e Occupy Wall Street (2012). Nel 2011 ha portato in Italia il format americano delle TED conference come curatore del TEDxReggioEmilia.
Riccardo Staglianò ha curato il webdocumentario Futuro interrotto con l’Academy di Repubblica, delineando spaccati di vita professionale e personale di 20 coppie di generazioni a confronto. Sono insegnanti, medici, fotografi, tornitori, pubblicitari, carpentieri, artigiani, musicisti che condividono la stessa professione per affinità, continuità o necessità, ma certamente con i segni dell’incertezza del nostro tempo. Discutiamo con l’Autore delle implicazioni che il divario generazionale introduce tra genitori e figli.
[D] Il suo recente webdocumetario ci invita a riflettere sul Leitmotiv «siamo la prima generazione che starà peggio di quella che ci ha preceduto», riconoscendo nel nostro tempo la prima grande rottura nella fiducia del futuro di cui si abbia memoria dal dopoguerra. Alla luce delle interviste realizzate le sembra di poter dire che esistono forti differenze tra generazioni?
[R] Il quadro non è univoco, ma di certo si può delineare una tendenza piuttosto chiara: che sia reale o percepito, stavano meglio i nostri genitori. Avevano una fiducia nel futuro che noi abbiamo dimenticato. E una stabilità che per noi è diventata un miraggio. Ovviamente ci sono casi in cui i figli hanno migliorato la propria condizione. Però, apparentemente, sono la minoranza. Per tanti, poi, i genitori hanno preso il posto del welfare. Continuano ad aiutare economicamente figli più che adulti oppure gli semplificano la vita in mille modi, magari avendo lasciato loro una casa o l’azienda in cui lavorano.
[D] Le coppie di genitori e figli intervistate per il webdocumentario sono rappresentativi del’attuale panorama lavorativo in Italia. Che cosa si sente di consigliare alle nuovissime generazioni, quelle che non si sono ancora affacciate al mondo del lavoro?
[R] Se questo è il quadro che si desume dal nostro campione, prevalentemente composto da trentenni versus sessantenni, il divario verosimilmente aumenta con i ventenni d’oggi. È quello che fa notare il sociologo Ilvo Diamanti nel commento al webdocumentario. Tuttavia non è una condizione senza uscita.
Quelli che adesso iniziano il percorso universitario devono partire da questa consapevolezza e sviluppare delle competenze molto più flessibili di quanto non fosse necessario una generazione fa. Devono essere in grado di adattarsi a un contesto fluido, in cui reinventarsi molte volte nel corso di una vita.
È un processo faticoso ma, come insegna Zygmunt Bauman, questa redefinizione continua della propria identità ha anche un effetto collaterale non disprezzabile. Si è così occupati da non preoccuparsi di cose che altrimenti ci atterrirebbero, come la morte.
Insomma, a sforzarsi di cogliere il lato positivo, la nuova instabilità è anche un allenamento continuo per non pensare al peggio.