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Il Giappone e il nucleare, a due anni dallo Tsunami

Era l’11 marzo 2011 e il Giappone fu colpito da uno dei più grandi cataclismi naturali che la storia contemporanea ricorda. Non solo per il Giappone ma per il mondo intero.
Un terremoto di magnitudo 9,0 della scala Richter ha origine nel cuore di Miyagi, nella regione di Tōhoku, generando un conseguente Tsunami che contribuirà fortemente a far salire il numero delle vittime.
L’evento colpisce pericolosamente gli impianti nucleari presenti sul territorio, provocando forti preoccupazioni in tutto il mondo e la riapertura del dibattito sulle fonti energetiche alternative. Un recente sondaggio mostra così che gli stessi giapponesi auspicherebbero il graduale arresto degli impianti.

In Italia le 6.46 sono forse le ore più cruciali della giornata. È l’orario in cui nelle case inizia ad aumentare la richiesta di corrente elettrica: si accendono le prime luci, quelle di chi si alza per recarsi a lavoro; oppure delle mamme e dei papà che si preparano per svegliare i propri figli da accompagnare a scuola. E non ci si domanda mai cosa stia facendo il proprio vicino in quello stesso momento. Ancor meno ci si domanda cosa stia succedendo a chilometri di distanza da casa propria.
L’11 marzo 2011 in Italia comincia come gli altri venerdì, con la consapevolezza del weekend che si avvicina. Del riposo.
Ma a quasi 10mila kilometri di distanza, la giornata è già iniziata da diverse ore. Forse con le stesse aspettative degli italiani. Ma mentre l’Italia si sveglia, alle 6.46, il Giappone affronta uno dei suoi più grandi incubi.

A Miyagi, una prefettura del Giappone, in quello stesso momento gli orologi segnano le ore 14:46:24. Ma, assieme alle lancette, comincia a muoversi anche la terra. I giapponesi sono abituati ai terremoti; ci convivono e li studiano continuamente. Tanto da costruire i propri edifici secondo regole e strutture avanzate, in grado di resistere a scosse di forte entità. Ma non sarà il terremoto a provocare i danni più profondi.
La forza della scossa genera, invece, uno tsunami che farà abbattere sulle coste giapponesi onde alte sino a 40,5 metri.
Nonostante il Giappone abbia investito ingenti risorse economiche per realizzare una barriera marina anti-tsunami che copre il 40% delle sue coste e si eleva per 12 metri, la straordinaria forza delle onde l’ha praticamente ignorata e distrutta.

A due minuti dalla prima scossa, la Rete svolge una delle funzioni per le quali era stata realizzata: mantenere le comunicazioni in situazioni di emergenza. Il primo tweet necessita di molti meno caratteri di quanto Twitter consenta; due semplici ideogrammi seguiti da un punto esclamativo: 地震 ! È il terremoto. Il flusso di comunicazione si propaga velocemente, tra tweets, replies e retweets, come è possibile vedere dal video realizzato dalla divisione giapponese di Twitter.

Il flusso di tweets durante il terremoto in Giappone nel 2011

Quasi un mese dopo, il 3 Aprile, la National Police Agency dichiara che le vittime sono state più di 13mila, senza considerare gli oltre 14mila dispersi. Ma nei giorni e mesi successivi il bilancio sarebbe continuato ad aumentare tanto che Google rimetterà in funzione la piattaforma Person Finder, lanciata durante il terremoto di Haiti nel 2010. Il sistema, infatti, consente di schedare le persone scomparse dopo un disastro, così da condividere tutte le informazioni utili per le ricerche.

Ma, oltre alle vittime e ai danni alle strutture, le preoccupazioni maggiori riguardano le centrali nucleari di Fukushima.
Nonostante il sistema di sicurezza sia entrato rapidamente in funzione, gli impianti di raffreddamento hanno subìto danni importanti, provocando un surriscaldamento incontrollato delle centrali. Il livello di acqua degli impianti (utile, per l’appunto, al raffreddamento) è sceso sotto i livelli minimi di sicurezza comportando, per la prima volta nella storia del Giappone, la dichiarazione di emergenza nucleare. Quasi un’ora dopo un reattore di Fukushima Dai-ichi esplode in seguito alla fusione delle barre di combustibile. Il giorno dopo anche un secondo reattore della stessa centrale subisce lo stesso destino.
Le fotografie e le immagini video, riprese e trasmesse in quei giorni, sono impietose: kilometri di terra completamente rasi al suolo. Centrali nucleari in fumo, con conseguenti interventi di sicurezza come il rilascio controllato di vapore e l’irrorazione dei reattori con acqua di mare e acido borico, utile per assorbire neutroni e rallentare la reazione del combustibile. La gravità della situazione porterà l’Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale del Giappone a classificare gli incidenti al 7 grado della scala INES, ponendosi per gravità tra gli incidenti di Cernobyl (Russia, 1986) e di Three Mile Island (USA, 1979).

Il disastro nucleare suscitò forti preoccupazioni in tutto il mondo. Il dibattito sulle fonti energetiche si ripropose con forza sui tavoli dei governi e nelle piazze. Le consuete fazioni pro e contro il nucleare rimisero in discussione la presenza degli impianti sul proprio territorio. Si pensi che, in Europa, le centrali sono 148, attive in 16 Paesi; otto sono in costruzione: in Bulgaria, Romania e Slovacchia; 1 in Finlandia e in Francia.
Nel mondo, per numero di reattori nucleari in funzione, la Francia (58) si pone al secondo posto dopo gli Stati Uniti (104). A distanza seguono Regno Unito (19), Germania (17), Svezia (10), Spagna (9), Belgio (7).
In Italia quattro sono gli impianti nucleari, chiusi tutti tra gli anni Ottanta e Novanta, anche in seguito al referendum del 1987: uno in Campania, due nel Lazio, uno in Emilia e uno in Piemonte (ve n’è anche un quinto, nel Lazio, seppur i lavori non siano mai stati ultimati proprio a causa del referendum).

A distanza di due anni, il tema delle energie rinnovabili continua ad essere tenuto in forte considerazione dai giapponesi. Secondo un recente sondaggio, condotto nel febbraio di quest’anno, alla domanda sul “futuro nucleare del paese” il 13% degli intervistati ha dichiarato di volere lo stop immediato degli impianti; il 24%, lo stop prima del 2030; 22% entro il 2030 e il 12% dopo il 2030. In totale il 71% chiede sul medio-lungo periodo di rinunciare all’energia nucleare mentre solo il 18% non intende abbandonarla.
Considerando che il Giappone attualmente non ha importanti fonti alternative, il nucleare continuerà per i prossimi tempi ad essere il principale sistema di produzione energetica tanto che  la Nuclear Regulation Authority ha dichiarato che entro il Luglio 2013 i sistemi saranno completamente rimessi in sicurezza e ripristinati.

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