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Il World Wide Web e l’ipertinenza della Rete

Diversi sono stati gli step che hanno condotto, progressivamente, alla nascita e alla successiva diffusione di quello che oggi chiamamo Web. La stessa Internet, intesa come una piattaforma, un sistema di computer in rete, fonda le sue origini negli anni Sessanta, con le ormai note ricerche del progetto ARPA (e del Ministero della Difesa degli Stati Uniti).

È indubbio, però, che l’accesso ai contenuti presenti in quei computer è stato facilitato dall’invenzione del linguaggio HTML (1990) e del browser (1993) ma, soprattutto, dalla nascita del World Wide Web.

Una giornata come le altre, di quelle in cui scienziati provenienti da parti diverse del mondo, si siedono attorno ad un tavolo del CERN e decidono di premere simbolicamente un pulsante di avvio: di annunciare la nascita di un qualcosa che presto sfuggirà loro di mano, divenendo il più grande sistema di comunicazione, di scambio di documenti, immagini e filmati, tra popolazioni e culture differenti. Prima separate da lingue differenti, “oggi” riunite sotto la lingua del Web.

26 febbraio 1991. Questa è una delle date fondamentali della storia della Rete. Tim Berners-Lee introduce il primo browser (in una versione, potremmo dire, ad uso e consumo interno: per pochi eletti): un programmino in grado di interpretare un linguaggio HTML e di consentire agli utenti di leggere esattamente ciò che vedono, senza perdersi nelle profondità dei codici di programmazione.  Ma non è una lettura fissa, statica: grazie all’introduzione dei link, il testo diventa dinamico… “iper“.

L’ipertesto, l’insieme di documenti collegati tra loro per parole chiave, per pertinenza, già negli anni Quaranta era stato individuato come una forma semplice e utile per mettere in connessione l’enorme mole di dati e informazioni che la storia dell’uomo aveva prodotto (e che, quotidianamente, continuava a produrre). Vannevar Bush, ingegnere americano, sulle pagine della rivista The Atlantic Monthly – nel 1945 – immaginava “Come potremmo pensare” (As We May Think), ovvero come avremmo potuto aiutare le nostre facoltà mentali e naturali, per avere accesso e poter consultare facilmente i risultati delle ricerche scientifiche. Immaginò quindi di poter creare una macchina della “memoria collettiva” che aiutasse l’uomo a convertire le informazioni in conoscenza. Questa macchina portava il nome di Memex (Memory Expansion) e consisteva in una scrivania dotata di tre schermi e con un un sistema di archiviazione dei dati basata su microfilm.

Il Memex nel progetto immaginato da Vannevar Bush

Il Memex, la sua struttura, il suo sistema di collegamento, influenzò fortemente Ted Nelson e Douglas Engelbart nella creazione dell’ipertesto vero e proprio. Un sociologo (ma anche filosofo) il primo, un ingegnere il secondo: due percorsi di studio differenti ma con una visione in comune. Rendere il mondo sempre più connesso.

Ma quanto è rimasto di quella visione, oggi? A distanza di 22 anni, il Web è mutato significativamente, rispetto alla forma – diremmo oggi “embrionale” – che venne rilasciata dai laboratori del CERN di Ginevra. È lo stesso Berners-Lee a dichiararlo nei suoi recenti interventi internazionali (non ultimo, in Italia, nel 2011 durante l’Happy Birthday Web organizzato a Roma): “Oggi la piattaforma è il web e ognuno può creare un programma e permettere a tutti di usarlo sviluppando una web app”. Oggi i dati presenti in Rete sono innumerevoli e il loro accesso si scontra con il diritto alla privacy, alla segretezza; ma anche al diritto all’accesso, libero. Per tutti.

Il Web, secondo Berners-Lee, oggi dovrebbe fondarsi su alcuni semplici principi:

  • accedere ai dati pubblici,
  • non essere spiati quando si naviga,
  • non essere bloccati o scollegati dal proprio service provider
  • poter sviluppare liberamente un programma accessibile a tutti

Diritti “fondamentali per mantenere Internet aperto e il Web un posto unico per tutti”.

Ed è evidente come la diffusione dei sistemi di User Generated Content (contenuti generati dagli utenti), dei blog e dei Social Network, ha contribuito fortemente – se non accelerato – la pubblicazione dei propri dati, delle proprie informazioni, in Rete. Non vi è più una forte distinzione tra ciò che siamo fuori e dentro la Rete. Siamo un tutt’uno: non condividiamo solo informazioni. Condividiamo dati. Condividiamo la nostra vita. Adesso, la spinta – promossa dallo stesso Tim Berners-Lee – è quella di mettere in connessione questi dati: renderli facilmente accessibile e reperibili. Collegarli tra loro. Renderli pertinenti o – come direbbe Derrick de Kerckhove – ipertinenti:

Torniamo a una cultura dell’esperienza, torniamo a una cultura del contesto, però senza perdere il valore del testo: cioè la flessibilità, la fluidità, la “tirabilità” del testo fuori dal contesto. Questo significa essere nell’i-pertinenza, la pertinenza hiper. Perché siamo capaci con motori di ricerca sempre più veloci ed intelligenti e complessi, con modi di personalizzare la ricerca sempre più precisi, utilizzando le forme di selezione che dipendono dalle esperienze dei singoli, come con il social tagging, di avere risorse cognitive straordinarie che si trovano fuori dalla nostra testa. (da Hipertinence: una intervista a Derrick de Kerckhove di Giovanni Boccia Artieri)

In un TED talk del 2009, Berners-Lee ha spiegato l’importanza di avere i dati “linkati”:

[…] se pensate al morbo di Alzheimer, per esempio, la scoperta dei medicinali — c’è una gran quantità di dati linkati che stanno venendo a galla perché gli scenziati in quel campo si sono resi conto che è un buon modo per uscire da questi silos, perché hanno i loro dati sui genomi in un certo database in un certo palazzo, e hanno i dati sulle proteine in un altro. E ora, li stanno appiccicando gli uni agli altri — dati linkati — e possono porre il tipo di domanda, che voi probabilmente non fareste, che io non la farei — [ma] loro si. Quali proteine sono coinvolte nella trasduzione dei segnali e sono anche collegate ai neuroni piramidali? Beh, se prendete queste quattro parole e le inserite in Google. Di certo non trovate una pagina che risponda a questa domanda perché nessuno ha mai fatto questa domanda. Ottenete 223000 risultati — ma nessuno che sia di una qualche utilità. Se fate la stessa domanda ai dati linkati — che ora loro hanno assemblato — ottenete 32 risultati, ognuno delle quali è una proteina con quelle proprietà e che potete andare a vedere. Poter porre domande di questo genere, come scienziato — domande che coinvolgono discipline differenti — è un vero cambiamento con la C maiuscola. È molto, molto importante. Gli scienziati hanno le mani legate al momento — la potenzialità dei dati che altri scienziati hanno raccolto è inaccessibile e noi dobbiamo rendere i dati accessibili per poter affrontare questi enormi problemi.

Appare quindi sempre più necessario individuare le forme più utili affinché questo sistema di condivisione della conoscenza diventi più efficiente ed efficace, aiutato, mediato, dal Web. La storia dell’ipertesto, di Internet, della Rete, è la storia di centinaia di persone, di paesi, lingue e culture differenti. Di discipline differenti. Ma con un solo obiettivo, un sogno in comune: rendere il mondo sempre più connesso.

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