Strategie per imparare: il metodo di studio nell’era del digitale
L’era digitale comporta la necessità di studiare secondo nuove modalità e canali: quali passi compiere per farlo nel modo più adeguato ed efficace possibile e quali le difficoltà a cui i nativi digitali vanno incontro. Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Lilia Muci, docente e psicologa milanese, ideatrice e cofondatrice del portale Help me.to.do.
Il progetto nato nel 2004 è stato pensato con l’idea di “trattare, in maniera semplice ma non banale, tutti gli aspetti legati al successo scolastico degli studenti“, per supportare gli alunni ed i docenti nel processo di apprendimento attraverso un percorso che abbina un lavoro sullo sviluppo personale dello studente (basato sull’autostima, il controllo dell’ansia gli stili di apprendimento) ad un’attività dedicata agli aspetti più “tecnici” dell’apprendimento (appunti, pianificazione a casa, strategie di lettura) che quindi costruiscono quello che possiamo definire metodo di studio.
Come concentrarsi per imparare, quali strategie adottare e quali i consigli per affrontare al meglio lo studio in un epoca in cui cambiano i mezzi di trasmissione del sapere ed aumentano gli stimoli. Lilia Muci ci esprime il suo punto di vista: «come cambia l’apprendimento con le nuove tecnologie? Diciamo che all’aumento delle risorse disponibili deve corrispondere una maggior capacità di autocontrollo e autodisciplina e una grande capacità di pianificazione dei tempi. Se lo studente saprà acquisire queste abilità, io sono certa che diventeranno molto alte le possibilità di essere non solo ottimi studenti, ma soprattutto ottimi cittadini del mondo».
[D] Come nasce l’idea del progetto Help me.to.do?
[R] Il progetto Help me.to.do è nato dal bisogno di arginare il fenomeno della dispersione scolastica, che si riscontra in ogni cambio di ciclo: tra le scuole medie e le superiori, così come tra le scuole superiori e l’università. Agli studenti viene chiesta via via maggiore autonomia, motivazione, tenacia e capacità organizzativa, ma tutto questo viene dato per scontato e non è previsto un percorso specifico per l’acquisizione di queste abilità. Il contributo migliore che la scuola può dare è proprio l’istituzione di un percorso, utilizzabile anche a moduli, a disposizione dei docenti e degli studenti per affrontare gli aspetti che appaiono più necessari in uno specifico contesto. In pratica l’obiettivo è esplicitare ciò che viene dato per sottinteso, cioè rendere consapevoli i ragazzi di ciò che viene loro richiesto.
[D] In un momento di costante evoluzione delle modalità di apprendimento quanto è rilevante acquisire un buon metodo di studio e perchè?
[R] Il punto centrale è proprio questo: nessuno può prescrivere “il metodo giusto”, perché gli stili di apprendimento variano da persona a persona e di generazione in generazione e sono legati anche agli strumenti di cui si dispone. Però avere un buon metodo è indispensabile. Infatti alcuni punti restano centrali sempre, ed è importante conoscerli.
Ad esempio: le famose capacità “multitasking” dei nativi digitali sono un grande vantaggio per i ragazzi. Però non è stato dimostrato alcun cambiamento di percorso a livello cerebrale nel processo di concentrazione su concetti complessi, assimilazione di contenuti e rielaborazione ai fini del loro riutilizzo. Questa parte del lavoro, necessaria per apprendere, resta identica in ogni epoca e con ogni strumento. Un’altra considerazione interessante è che proprio per la grande quantità di stimoli a cui i “nativi digitali” vengono sottoposti , diventa ancora più necessaria la capacità di selezionare le informazioni e collocarle secondo una gerarchia di importanza. Anche questa è una tappa fondamentale di ciò che viene chiamato “metodo di studio”. E ancora: oggi più che mai è importante saper creare collegamenti tra ciò che si conosce, perché il sapere è sempre più interdisciplinare e perché in molti settori della cultura le novità si stanno collocando sempre più nelle aree di intersezione tra i differenti saperi. In pratica, un metodo di lavoro, ben organizzato in base alle proprie inclinazioni naturali, è indispensabile oggi ancor più di ieri.
[D] Quali sono oggi le difficoltà maggiori che gli studenti manifestano nell’apprendimento e nell’approfondimento dei contenuti?
[R] Le difficoltà maggiori a mio parere sono legate alla concentrazione e all’organizzazione. I ragazzi incontrano difficoltà perché le competenze richieste nella vita sociale e nella vita quotidiana sono molto diverse da quelle necessarie per svolgere un buon lavoro di studio. Potremmo dire che lo sviluppo di capacità di conoscenza di tipo “orizzontale” (per esempio essere presenti nei social network, avere molti contatti, “assaggiare” gli innumerevoli stimoli che provengono dal mondo esterno) vanno in una direzione diversa da quelle di tipo “verticale” necessarie per lo sviluppo di una vera disciplina di studio (fuori dall’ambito scolastico, un buon esempio è l’attività sportiva, in cui è necessaria la costanza, la tenacia, la capacità di imparare dagli errori e di riflettere sul punti da migliorare, la verifica sul campo delle proprie abilità). Quindi i ragazzi, di fronte allo studio, devono proprio mettersi in un’ottica particolare, in cui le abilità primarie sono la concentrazione e la buona capacità di organizzazione/pianificazione dei tempi. Possiamo anche guardare gli aspetti positivi delle nuove capacità dei ragazzi: sono molto bravi a cogliere i “link” tra le conoscenze e a integrarli con ciò che già conoscono. Inoltre mi sorprende sempre la loro creatività, quello che viene detto anche “pensiero laterale”, cioè un modo di guardare le cose, i fatti, le nozioni, da una prospettiva diversa . Questo genera pensiero creativo. Che è ciò di cui il mondo ha maggior bisogno oggi per trovare soluzioni ai suoi grandi problemi.
[D] Libri elettronici e biblioteche digitali cambiano il modo di trasmettere il sapere sul piano formativo come potranno incidere anche nel modo di apprendere?
[R] Le nuove tecnologie rappresentano un vantaggio per diversi motivi che tutti hanno ben presenti. Il primo è legato all’uso sempre più potente del canale visivo: si sa che oggi sono aumentate le connessioni neuronali nell’area del cervello preposta alla lettura degli stimoli visivi, in stretta correlazione con l’aumento delle sollecitazioni cui quest’area è sottoposta. Quindi, perché non sfruttare questa migliorata capacità ai fini della memorizzazione?
Il secondo aspetto dell’informatizzazione del sapere è l’immensa mole di materiale di cui si dispone. Questo vantaggio rischia di trasformarsi in uno svantaggio se l’utilizzatore non ha già raggiunto una forte capacità di selezione del materiale e soprattutto se non è ancora capace di tenere sotto controllo disciplinato la curiosità. Infatti la curiosità – che è una molla fondamentale della conoscenza e del sapere – può essere anche una forza che ci conduce, senza il nostro controllo, a perdere molto tempo. Faccio un esempio che nasce dalla mia esperienza di “coach” di studenti universitari. Chi studia medicina oggi può avere accesso a un’enorme quantità di video utilissimi ( per le conoscenze anatomiche, lo studio delle patologie, le tecniche di intervento chirurgiche, ad esempio). Ma seguire con passione e interesse tutti i video che riguardano un’area di nostro interesse, può finire col farci perdere di vista l’obiettivo più concreto e immediato di sostenere con successo l’esame che abbiamo in scadenza. Chiaro, no?
Il terzo aspetto interessante delle nuove tecnologie della didattica è l’interdisciplinarità delle conoscenze, cioè la possibilità immediata di cogliere dei link tra aspetti anche molto diversi. Se sto studiando, poniamo, design della moda, l’idea di raggiungere con un click i risultati di studi etnografici o le immagini che riguardano l’abbigliamento nei luoghi più remoti della terra , mi saranno di grandissima utilità e potranno attivare piste di ricerca e studio un tempo impensabili. Anche questa grande potenzialità che ci viene offerta va però tenuta sotto controllo. Se alla fine della giornata di studio ho aperto tante connessioni e non sono andata avanti nello studio del mio manuale, alla fine sarò frustrato.
Per tornare alla domanda iniziale: come cambia l’apprendimento con le nuove tecnologie? Diciamo che all’aumento delle risorse disponibili deve corrispondere una maggior capacità di autocontrollo e autodisciplina e una grande capacità di pianificazione dei tempi. Se lo studente saprà acquisire queste abilità, io sono certa che diventeranno molto alte le possibilità di essere non solo ottimi studenti, ma soprattutto ottimi cittadini del mondo.
[D] Che consiglio darebbe ad uno studente alla ricerca di un metodo di studio?
[R] Darei consigli diversi a seconda dell’età dello studente. Nella mia esperienza, infatti, lo studente della scuola secondaria superiore, deve ancora mettere ben in luce la sua motivazione allo studio. Spesso i ragazzi dai 14 ai 17 anni non si sentono ancora proiettati verso l’età adulta, e quindi non si pongono la questione cruciale: “Che tipo di persona voglio diventare”, a cui corrisponde l’altra domanda: “A cosa mi serve lo studio di oggi per diventare come voglio”. Il problema è ancora trovare il senso di ciò che si fa, anche quando appare molto lontano dai propri interessi. Lo studente maggiorenne, invece, ha già capito qual è il nesso tra ciò che fa e le sue idee sulla sua vita da adulto. Ha già capito che, al di là dei contenuti di una singola disciplina, ciò che si va strutturando in lui attraverso lo studio, ha a che fare con la sua personalità: tenacia, capacità di pianificazione, capacità di reggere le frustrazioni, controllo dell’ansia e dello stress. Tutto questo passa attraverso la capacità di ottenere risultati positivi nello studio. Ai più giovani, oltre alle riflessioni sulla propria motivazione, darei il consiglio di affrontare il complesso problema del metodo di studio senza cercare scorciatoie inesistenti, ma con la fiducia che si tratta di un percorso con delle regole e delle tappe dotate di senso, in cui, una volta capito il meccanismo, tutto diventerà più facile. E’ un po’ come imparare ad andare in bicicletta: devi conoscere un pochino di teoria e devi provare. I due aspetti vanno insieme. E quando avrai imparato, come per la bicicletta, non disimparerai mai più. Ne vale la pena, no? A tutti, indistintamente, direi di mettere molta attenzione alla capacità di gestione del tempo. Le distrazioni sono oggi davvero diaboliche, anche gli adulti non ne sono affatto immuni. Il piacere che ci viene dall’essere sempre connessi in rete, dalle chat, dalle proposte continue che ci arrivano, è quasi irresistibile. E nessuno ci insegna a fronteggiare questa tentazione. Potenziare la propria autodisciplina, questo è ciò che più ci serve. Perché vale la pena farlo? Per la grande soddisfazione che proveremo quando vedremo i risultati. Il senso di autoefficacia che ci arriva dal superamento delle prove affrontate, siano esse scolastiche, o sportive, o musicali, è molto superiore e molto più duraturo di qualsiasi sensazione che ci arrivi dal galleggiamento superficiale nel mondo virtuale. Provare per credere.
[D] Quali sono i riscontri che della vostra iniziativa nelle scuole in cui è stata sperimentata?
[R] Abbiamo visto che l’utilità del lavoro sul metodo di studio è legato a diversi fattori: 1) la compattezza con cui il gruppo di docenti della classe si pone questo tra gli obiettivi prioritari; 2) l’applicazione costante di ciò che si è detto nella didattica quotidiana; 3) il rapporto che esiste tra docente e studenti. Se il docente sa davvero ascoltare i ragazzi, li osserva con interesse, ha fiducia e stima in loro, allora il messaggio passa molto più facilmente. Se il docente è stanco e sfiduciato, difficilmente riuscirà a trasmettere i contenuti metodologici con la convinzione che saranno utili. Un limite di questo percorso metodologico, infatti, consiste nel fatto che richiede molte ore di lavoro, soprattutto se si fanno gli esercizi, le attivazioni, e se si accolgono anche gli spunti di riflessione portati dai ragazzi. Certamente non è pensabile svolgere questo grande lavoro nelle ore di lezione con classi superaffollate, mentre i programmi disciplinari che i docenti devono svolgere diventano sempre più ampi. I docenti, impegnati già su molti fronti, si ritagliano dei modi personali per far passare gli aspetti metodologici nel corso delle loro lezioni e si vedono costretti a rinunciare a questa importante parte propedeutica allo studio. Al momento ho scelto di attivare al pomeriggio gruppi più piccoli di lavoro (8-10 studenti) e di fare un percorso che prevede una parte di sviluppo personale (sui temi della motivazione, dell’autostima, del controllo dell’ansia, degli stili di apprendimento ecc. ) e una parte di metodologia dello studio (ascolto, lettura, appunti, memorizzazione, esposizione ecc.). Penso che la strada giusta sia il “percorso abbinato” che ho appena esposto. Resta la possibilità che i singoli ragazzi cerchino, un po’ da autodidatti, di approfondire ciò che sembra loro più utile. Per questo motivo ho messo in rete il materiale che utilizzo, gli esercizi e le letture che possono offrire spunti di riflessione.
Commenti (1)
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fabio ricardi 22 marzo 2013, 10:01
Ottima intervista, contenuti interessanti e che stimolano a pensare. Non sono un nativo digitale, sono quanto mai legato a....Gutemberg e all'apprendimento attraverso la carta stampata, ma devo pur sfruttare qualcosa almeno delle nuove possibilità e dialogare con chi ci vive dentro fino al collo ( a cominciare dai figli ). In questa prospettiva mi hanno parrticolarmente interessato le parti dell'intervista dedicate alle possibilità di "pensiero laterale" aperte dalla informazione on line, e pure la sottolineatura che alcune capacità importanti nel modo tradizionale di apprendere ( concentrazione, capacità di proporsi obiettivi, costanza e resistenza alla frustrazione: oltre alla curiosità, naturalmente ) sono ancora più importanti nella nuova era dell'apprendimento. Fabio Ricardi