Vesuvio 1944: l’ultima eruzione
Il 18 marzo 1944 è una data che a Napoli non si dimentica: 69 anni fa iniziava l’ultima fase eruttiva del Vesuvio, il vulcano partenopeo da allora quiescente, caratterizzato oggi solo da attività fumarolica e da moderata sismicità ma ancora vivo e attivo. Il ricordo dell’eruzione del 1944 è ancora presente nella memoria delle persone anziane del territorio vesuviano, come ha dimostrato la ricerca storica relativa ai ricordi dell’eruzione che è stata condotta da Elena Cubellis e Aldo Maturanno, due ricercatori dell’Osservatorio Vesuviano. La ricerca è stata pubblicata nel 2010 nel saggio “Testimonianze ricordi e descrizioni dell’ultima eruzione del Vesuvio del marzo 1944“, contributo che ha permesso di non disperdere l’enorme patrimonio antropologico relativo ai racconti dell’eruzione e del periodo storico in cui avvenne.
Il 1944 era il quarto anno del conflitto mondiale, per i napoletani il più pesante: Napoli fu un obiettivo strategico prima da parte delle forze alleate e, dopo lo sbarco americano e le Quattro giornate di Napoli, da parte tedesca. Per questo, l’eruzione del Vesuvio, iniziata nel pomeriggio di sabato 18 marzo, fu accolta dai napoletani con cupa rassegnazione all’ennesima catastrofe: la città era già provata dall’alto numero di morti di poche notti prima – tra il 14 e il 15 marzo – dovute ai continui raid aerei dell’aviazione tedesca. All’epoca, i napoletani erano abituati a percepire il vulcano come vivo e attivo, ma non a temerlo come distruttivo e, in ogni caso, la fame, la disperazione, la sofferenza della guerra si sovrapponevano a tutto. Un quadro fedele – e terribile – relativo al periodo in questione viene restituito dalla penna affilata di Curzio Malaparte che nel celebre “La pelle” racconta lo strato di prostrazione e corruzione del popolo napoletano, paragonando la furia del vulcano a quella della guerra.
Quella fu infatti la prima eruzione “mediatica” al mondo: oltre ad essere argomento dei giornali italiani e stranieri, fu raccontata da voci celebri (come quella di Norman Lewis) fotografata e cineripresa dagli americani. Fu anche la prima eruzione studiata dagli scienziati dell’Osservatorio Vesuviano con metodi “moderni”. L’Osservatorio analizzò il fenomeno eruttivo accuratemente: l’allora direttore Giuseppe Imbò ne seguì tutte le fasi, non limitandosi ad una narrazione scientifica ma inquadrando anche il clima sociale relativo al particolare periodo storico.
L’eruzione, come documenta l’Osservatorio, ebbe inizio il 18 marzo e terminò solo il 29, anche se la fase distruttiva si concentrò nei giorni 22 e 23 marzo, quando furono evacuati gli abitanti di S. Sebastiano, di Massa e di Cercola per un totale di circa 12.000 persone. Al termine dell’attività eruttiva i morti furono 26 ma più grave fu il bilancio territoriale: oltre ai 2 centri abitati in parte distrutti dalle colate laviche ci vollero tre anni per ripristinare lo stato agricolo dei territori nelle aree interessate dalla ricaduta delle ceneri.
Da allora il ricordo del Vesuvio come vulcano è andato progressivamente affievolendosi, o forse è stato volutamente rimosso in quelli che sono territori ad alto rischio. Il Vesuvio è diventato “‘a muntagna“, anche se montagna di morte e sventura: i napoletani e soprattutto i vesuviani, convivono alle falde del Vesuvio esorcizzando la paura attraverso musiche e proverbi. Un pezzo bellissimo e diventato ormai parte della tradizione popolare vesuviana è, appunto, “Vesuvio” cantata dai Zezi di Pomigliano d’Arco, poi ripresa anche dai 24 grana. Massimo Mollo, componente storico del gruppo ‘e Zezi, ci racconta che “il testo del brano Vesuvio è stato scritto da Luca Castellano: eccezionale artista, scrittore, pittore e grande traduttore delle esigenze culturali della classe operaria in forme letterarie semplici e profonde al tempo stesso. La musica è nata come nasce quella dei Zezi, lavorando insieme all’inizio tra Marcello Colasurdo, Marzia Del Giudice, Nando Gandolfi ad esempio e tutti i Zezi degli anni 90′. Il senso del brano è chiaro: il degrado e la povertà hanno fatto della “mamma montagna” un luogo di abusivismo e di stupro della natura con conseguenze facilimente immaginabili se si dovesse risvegliare.”
A quasi sessantanni da quell’eruzione la situazione vesuviana è assai anomala: nonostante non si possa costruire nella “zona rossa”- di recente estesa anche alla città di Napoli – l’abusivismo edilizio e la cementificazione selvaggia hanno reso i comuni vesuviani i più densamente popolati d’Europa, con il risultato di sovrappopolare territori che sarebbe stato meglio evacuare. Il Vesuvio è un vulcano attivo e gli scienziati prevedono, data la situazione geologica e vulcanica, eruzioni per il futuro assai più distruttive e violente di quella del ’44: per questo è stato predisposto un Piano Strategico Operativo dell’area vesuviana con l’obiettivo di mettere in salvo la popolazione non appena la vasta rete di monitoraggio rilevasse i primi sintomi di attività: “l ‘unica verità pe’ tutt’ quante sarria chell’ ‘e fui’. ”